La storia
All’inizio del 1200, quando ad Aldobrandino degli Aldobrandeschi, conte di Sovana, venne concesso come feudo dalla Badia di San Salvatore il castello di Piancastagnaio, il primo cerchio di mura, benché di ridotte dimensioni, già esisteva munito di una piccola rocca, di una torre e di un muro di cinta che per la maggior parte sfruttava le scogliere.
I costruttori non avevano fatto altro che innalzare un muro tra una roccia e l’altra lasciando ad occidente un piccolo varco di passaggio, chiamato appunto “lo stretto” (porta considerata del tutto secondaria e infausta, era infatti un varco “di servizio” attraverso il quale venivano fatti passare i rifiuti, i condannati, i traditori e i cortei funebri verso il cimitero collocato fuori le mura nella zona di San Martino) e due porte principali, una a sud chiamata “porta montanina” e una a nord detta “porta di castello”.
La torre che si trovava a fianco della chiesa di Santa Maria de Cuntaria aveva la funzione di vigilare sia la porta montanina, sia la porta dello stretto: che essa funzionasse sia in qualità di campanile che come torre di difesa lo rivela un arco aperto verso la porta montanina e il possente impianto architettonico.
La porta di castello, invece, era munita di una rocca più grande, essendo anche la sede della guardia: non avendo a difesa la scogliera, avevano trasformato i prati circostanti con terrapieni, fossati, palizzate e altri ostacoli vari in una vera e propria zona vincolata alla difesa che chiamavano “liccia” o “lizza” (ossia spazio riservato ai servizi militari.
Le torri di difesa e le rocche non avevano né feritoie né boccaporti verso l’abitato per impedire agli eventuali invasori di colpire i cittadini all’interno del castello.
È inoltre interessante notare come nessun’altra abitazione civile potesse appoggiarsi alle mura di cinta o costruire un tratto di congiunzione nelle stesse sia per scongiurare spiacevoli sorprese di tradimento sia per una tradizione radicata in tutto l’Occidente per la quale le mura castellane erano considerate sacre e inviolabili. Solo la rocca militare e la chiesa potevano essere connesse alle mura e specialmente quest’ultima diveniva un baluardo religioso di difesa contro gli assalitori e quasi un prolungamento sacro delle mura stesse tanto da incutere un timore sacrilego a coloro che l’avessero violate.
Per la costruzione della chiesa, della rocca e delle mura castellane l’appalto era riservato ai soli cittadini.
La struttura
La struttura attuale della Rocca Aldobrandesca di Piancastagnaio è frutto di almeno due fasi costruttive delle quali la seconda è frutto di un potenziamento di una struttura eretta precedentemente. La data di questa non è certa ma deve trovarsi probabilmente tra il 1200 e il 1300, mentre la data della seconda eretta tra il 1471 e il 1478 è sicura in quanto scritta sulla scarpata a nord del mastio. Quest’ultimo rinnovamento consiste soprattutto in una sorta di “camicia” di cui, in forma di enorme scarpa, venne rivestita la zona inferiore dell’intero edificio medioevale. Questo per il senso di insicurezza che riguardava le costruzioni medioevali dinanzi all’uso della polvere da sparo.
Lo stato di conservazione
Nel 1962 il castello venne acquistato dal Commendator Gino Bigazzi con l’intento di restaurarlo. Il rifacimento che ne seguì si potrebbe definire puro, cioè fine a sé stesso perché il castello divenne sede di un museo con tanto di biblioteca da aprirsi al pubblico. Fu comunque un restauro di liberazione, valorizzazione, sistemazione e molto limitatamente d’integrazione. Quest’ultima, infatti, fu circoscritta al rifacimento di alcuni beccatelli, in particolare nella Rocchetta, ove si dimostrò necessario sia sotto il profilo statico che storico-architettonico. Si rinunciò invece a dotare il mastio di merli, sulla cui presenza pur probabile non si poteva essere del tutto certi e tanto meno sulla loro forma. Scelta saggia poiché l’istituzione di una nuova merlatura avrebbe indubbiamente nociuto all’aspetto complessivo del monumento, il quale nella sua schietta autenticità trova il primo motivo di interesse.
Rientra invece nell’opera di liberazione la riapertura della porta d’ingresso al castello sotto la Rocchetta. Da tale ingresso si gode di una più consona inquadratura verso il cortile e soprattutto del mastio che appare frontalmente sul piano di fondo.
Nell’opera di sistemazione rientrano la costruzione delle solette nel mastio (non ovunque all’altezza dei soppalchi originali, la cui posizione appare comunque denunciata dai fori delle murature per accogliere le travi in legno), la posa di nuovi pavimenti in lastre di peperino e in elementi di cotto (che si giudicarono i meno arbitrari giacché usati in altre costruzioni del luogo), il ricorso alle attrezzature in legno, il ponte dalla scala in muratura all’ingresso del mastio, i parapetti (numerosi ma assai semplici e necessari per la sicurezza), il reimpiego di antiche porte in legno o inferriate (quando opportuno accoppiate a cristallo temperato) di varia provenienza.
In quella di conservazione lo scrupolo con il quale venne mantenuto ogni elemento architettonico reperito pur se attualmente avesse perso la propria funzione.
In quella di valorizzazione l’intera opera di recupero di un monumento ormai definitivamente assicurato al patrimonio castellano della Toscana.