Nel 1605, dopo qualche anno che aveva ricevuto il feudo a Piancastagnaio, il Marchese Giovan Battista Bourbon del Monte iniziò la costruzione di un imponente palazzo (posto nel Terziere di Voltaia come mostrano le epigrafi collocate sugli archi dei portoni d’ingresso) e circondato da vasti giardini.
Una eccezione nel panorama dei feudi e una costruzione non comune nello stesso Granducato di Toscana dove, nel periodo a cavallo fra il ‘500 e il ‘600, non si hanno molte costruzioni di analoghe dimensioni nemmeno nelle grandi città. È un esempio di edilizia storica di ambito periferico , ossia di residenza nobiliare costruita nel territorio di un feudo distante dal centro del potere, per volontà di un colto e ricco committente, che attraverso l’architettura dichiara e legittima il potere che ha conquistato.
L’inserimento urbanistico del palazzo risulta alquanto incongruo nell’insieme del paese così piccolo benché sia isolato., Il palazzo si presenta come un dado, disegnato con linee architettoniche pressoché perfette robuste ed eleganti (secondo la maniera toscana delle ville cinquecentesche) Il dislivello inclinato del suolo presentava una difficoltà che venne abilmente risolta calcolando la planimetria della strada tanto da permettere l’ingresso ad ogni piano senza bisogno delle scale. La facciata che dà sull’aperta campagna è veramente maestosa nella sua armonia di finestre, cornici e cordonate di pietra alternate da un intonaco grigio perla. Quella rivolta verso Borgo fra la terrazza e l’arco di entrata è murato un bassorilievo in pietra raffigurante il leone alato di San Marco che sorregge sulla zampa un libro aperto su cui è scritto: “pax tibi Marce evangelista meus” è un omaggio evidente che il Marchese dedicò a Venezia città in cui era stato Capitano della Fanteria.
Solenne e più in accordo con le dimensioni del paese è la facciata che domina piazza Belvedere che appare come un palazzotto sicuro e domestico. Un cornicione potente e sereno formato da mensoline in pietra incorona tutto il palazzo.
L’interno rivela tutta la sua magnificenza: sale ariose, portali con stipiti di pietra, decorati col giglio di Firenze, uno scalone interno che dal pian terreno sale al secondo piano fiancheggiato da maestosi archi ascendenti. Il marchese in passato vi aveva allestito una raccolta di armi, lance e corazze che è stata totalmente dispersa.
Terminata la costruzione del maestoso palazzo i Bourbon del Monte dettero il via ad un altro grandioso progetto per abbellire la terra di Piancastagnaio. Commissionarono allo stesso architetto che aveva realizzato il palazzo la realizzazione dei giardini.
La zona sottostante il palazzo verso ovest si prestava in maniera particolare alla realizzazione di giardini ricchi di scherzi d’acqua, vasche e peschiere. Era infatti (ed è tuttora) caratterizzata da numerose sorgenti che rendevano lussureggiante la vegetazione e il paesaggio.
Se da un lato quest’area permise la realizzazione dei suddetti giardini, dall’altro la precaria stabilità del terreno scosceso e franoso determinò insieme al successivo abbandono la distruzione e la scomparsa di tutte le opere che vi furono realizzate. Oggi solo pochi, e per di più nascosti dalla rigogliosa vegetazione, sono i resti che testimoniano l’antica bellezza di quel luogo e le stupende opere che vi furono edificate. Oggi solo grazie a due manoscritti giunti sino ai nostri giorni, uno del Cancelliere di Piancastagnaio Marcantonio Torelli (1622) e l’altro del sacerdote Luigi Donati (1868) siamo in grado di venire a conoscenza di una descrizione dettagliata delle “Delizie del Marchese” (nome con cui sono ricordati all’interno dei testi).
Le “Delizie del Marchese” avevano inizio vicino alla Chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie poco distante dalla porta sud di Borgo detta della Fontanella e si espandevano fino al Mugnello.
Dalla piazzetta di fronte alla Chiesa partiva un viale sostenuto da ambo i lati da muri alti in peperino che raggiungeva il vecchio podere della Vignola ora non più presente (collocato più in basso dell’attuale podere). Percorrendo questo viale si incontrava sulla parte sinistra e davanti alla ringhiera del Palazzo la prima delle numerose fontane, detta La Vecchia con la forma di un nicchio scannellato sopra il quale si trovava una guglia piccola e una palla di vari colori. Sotto la guglia era inciso un motto LIBERO ET GENIO, all’interno tre teste stilizzate gettavano acqua dalla bocca dentro una vasca utilizzata come abbeveratoio per i cavalli. L’acqua fuoriusciva da dietro La Vecchia e veniva raccolta da una fonte rettangolare delimitata da pietre e utilizzata dalle donne come lavatoio. Questa fontana è l’unica superstite in quanto può essere vista ancora oggi a Fonte Natali (fu spostata in questo luogo nel 1935 per la realizzazione di Viale Marconi strada che collega la zona sud di Borg con la via del Castelluzzo).
Continuando ad avanzare lungo il viale si incontrava sulla destra una strada lastricata protetta da entrambi i lati da dei muri che conduceva al palazzo. Allontanandosi da questa strada si incontrava un altro “Visaccio di pietra” posto nel muro di destra che riversava acqua dalla bocca dentro una vaschetta. Accanto a questa fontana era stata posizionata una grossa pietra che serviva da appoggio a chi veniva a rifornirsi d’acqua. Dalla vaschetta l’acqua passava sotto il viale e andava a riempire poco più in là una grande vasca in mattoni nella quale veniva allevato il pesce.
Queste due fontane (la Vecchia e il Visaccio) erano fornite dalla Fonte di Voltaia attraverso canali coperti che attraversavano il Campo Caciaio.
Il viale continuava ancora un po’ in piano poi cominciava a declinare leggermente verso il podere della Vignola; da questo punto iniziavano le opere più maestose dei giardini. Allontanandosi dal podere della Vignola si raggiungeva sulla destra la prima delle grandi peschiere circondata per intero da un alto muro reso prezioso da numerose decorazioni. Nella parte frontale tre aperture a mezzaluna consentivano ai visitatori di osservare l’interno: un insieme di nicchi, mascheroni, scogli e monticelli ricoprivano pareti e pavimento e da ogni figura si originavano getti d’acqua, schizzi, giochi d’acqua che venivano raccolti da vasche e tazze in pietra di ogni grandezza. Tutta l’acqua che fuoriusciva dalla peschiera andava ad alimentare un altro mascherone contenuto in un nicchio nella parte sinistra della strada. Vicino alla peschiera vi erano degli abeti che continuavano sulla parte destra lungo il viale fino all’incrocio con la strada che scendeva dalle fonti di voltaia e conduceva ai mulini. Lontano da qui dalla parte delle mura si trovava una grande peschiera all’interno della quale veniva allevato il pesce. Questa aveva al centro un monticello artificiale nel quale erano state realizzate delle tane per allevare conigli.
L’acqua cadeva nella peschiera zampillando da una statua posta nella parte superiore raffigurante un fanciullo a cavallo di un delfino. Era divisa a metà da un semicerchio alle estremità del quale si trovavano due statue che gettavano acqua nella peschiera entrambe raffiguranti leoni seduti. Questi, quando i giardini furono lasciati in abbandono furono spostati nella piazza centrale del paese per poi essere distrutti successivamente durante il rifacimento della piazza medesima.
Oltrepassata la strada dei Mulini si trovavano due grandi peschiere posizionate a ridosso dello scoglio prospiciente il podere del Mugnello. Tali peschiere, contigue, erano delimitate da muri di notevole spessore che avevano delle rientranze che permettevano di vederne l’interno. Il viale che costeggiava le peschiere era realizzato parte in pietra e parte in legno ed era protetto da un pergolato che gli faceva ombra. L’acqua si riversava nelle peschiere fuoriuscendo da sorgenti naturali presenti negli scogli soprastanti e da una testa di pesce in pietra che la riceveva a sua volta da un visaccio in pietra da lì poco distante. Ai lati del visaccio vi erano due banchi in pietra con due muretti a mo’ di panche ombreggiati da un maestoso abete che venivano utilizzati per mangiare. Nella piazzetta dei banchi era stato scavato nella roccia un nicchio con un banco per sedersi. Da questa piazzetta si poteva salire al di sopra dello scoglio per mezzo di un percorso.
L’acqua della peschiera attraversava lo stradone per arrivare a due nicchi posti accanto al podere del Mugnello che attraverso due visacci scolpiti al loro interno ricade creando due cascatelle sui lati di una stradina. Di fronte a questa strada si trovava un grosso nicchio con rappresentata l’effige dell’arma del marchese al cui interno si trovava una statua di un vecchio sdraiato su un fianco che con una mano teneva i tre monti del Marchese sopra la coscia con l’altra sosteneva una brocca dalla quale sgorgava l’acqua. Questo nicchio è ancora oggi presente anche se in cattivissimo stato di conservazione. La statua stando ai racconti sembra sia rimasta in posizione fino ai primi anni del 1900 per poi essere venduta a una famiglia fiorentina. La statua venne appellata dagli abitanti di Piancastagnaio Fabrizio perché la semplicità popolare aveva visto negli occhi della statua scolpiti senza pupille la somiglianza con un pianese cieco di nome Fabrizio.
Iniziava qui un viale pergolato che conduceva a un luogo chiamato Belvedere al quale si accedeva attraverso una porta in pietra. Il Belvedere era un luogo a pianta circolare molto ampio dal quale si godeva di un bellissimo panorama. Tale luogo era arricchito da statue e fontane. In mezzo era posizionata una fontana a forma ellittica ricavata da un unico blocco di pietra in peperino, chiamato successivamente Piatto delle Streghe. Il piatto che ancora oggi si può osservare poco distante dal podere del Mugnello era già esistente al momento della realizzazione dei giardini essendo stato costruito dagli Orsini di Pitigliano durante uno dei loro periodi di controllo di Piancastagnaio; era in origine posizionato nei giardini dentro la porta della Fontanella di fronte ai lavatoi pubblici e il Marchese lo fece poi trasportare nel Belvedere e abbellire con la statua di Nettuno. Questa statua rivolta verso la porta d’ingresso teneva nella mano destra un tridente di piombo dalle punte del quale fuoriuscivano tre zampilli d’acqua che ricadevano nella grande vasca. Attorno alla vasca disposte a semicerchio vi erano cinque statue raffiguranti figure mitologiche e agresti.
Uscendo dal Belvedere si proseguiva per un altro lungo viale fino a raggiungere un tempietto che rappresentava la parte finale dei giardini.
Un maestoso arco con sopra lo stemma gentilizio coi tre gigli e la sbarra e l’iscrizione “Io : Bapt : Borbonius de Monte I. Plani Marchio”, permetteva l’ingresso in un luogo tutto pavimentato a mosaico con pietre di fiume da dove fuoriuscivano zampilli d’acqua che creavano un affascinante spettacolo. Sulla parete di fronte all’arco d’ingresso dentro un nicchio vi era una testa di drago che gettava acqua dentro una vasca circolare. Sulle pareti laterali si trovavano due porte che conducevano una alla stanza delle chiavarde che gestivano i giochi d’acqua di tutti i giardini e l’altra che conduceva sul retro del tempio e poi due statue una di fronte all’altra anch’esse gettanti acqua dentro e dalle vasche. Tutte le pareti e i nicchi erano ricoperte di stucchi e decorazioni che rappresentavano le quattro stagioni. Uscendo sul retro si accedeva a un angolo riservato circondato dalle muraglie nel quale si trovava una bellissima tavola di noce per mangiare.
Il Piatto delle Streghe
Era la fontana del vasto giardino che il Marchese utilizzò per il Belvedere del palazzo. Quando il Belvedere fu abbandonato, gli arredi furono dispersi e la fontana fu trasformata dalla fantasia popolare in un oggetto misterioso legato a leggende e favole.